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PiTiPies

Puppets for Trauma Psychotherapy

 

Le Pitipies nascono da un’idea della dott.ssa Tomba scaturita dall’esigenza di trovare una soluzione ad un bisogno clinico: come spiegare ai bambini traumatizzati come agisce la dissociazione strutturale, nei termini di suddivisione della personalità.

 

Le Puppets for Trauma Psychoterapy (PiTiPies) rappresentano per l’autrice un grande strumento di ausilio e supporto alla psicoterapia ma soprattutto sono da ritenersi parte di un processo più ampio e strutturato volto ad adattare teorie, terminologia e strategie cliniche ideate per la cura dei disturbi di origine traumatica nell’adulto, alla psicotraumatologia infantile.

Si presenta di seguito una breve descrizione sull’argomento che, data la sua complessità, non può sicuramente essere esaustiva, ma che sarà d’aiuto per comprendere la funzione delle PiTiPies.

Si accennava qui sopra all’esigenza di spiegare ai pazienti traumatizzati adulti e bambini come agisce la dissociazione strutturale.

 

Ma perché?

 

Tale passaggio è di assoluta importanza per tutti i pazienti siano essi adulti o piccoli e costituisce una premessa clinica di psicoeducazione che sostiene nella comprensione di ciò che accade alla mente della persona in termini di funzionamento e meccanismi di difesa, rendendo più accessibile anche il significato del lavoro che il clinico va a proporre in seguito.

 

La dott.ssa Tomba in questo fa riferimento alla teoria della dissociazione strutturale, presentata nel libro “Fantasmi nel sé” da Van der Hart et al nel 2006 (ed Cortina), che accenna di seguito.

Qui si fa riferimento alle esperienze “traumatiche” come a quelle che rappresentano una minaccia alla vita e/o all’incolumità psico-fisica della persona o di qualcuno cui il soggetto è molto legato (incidenti, aggressioni, abusi, catastrofi, maltrattamento subito o assistito etc…) ed attivano istintivamente quindi, i sistemi di difesa. Questi tuttavia talvolta falliscono, o non si possono attivare o, sebbene avviati, risultano comunque inefficaci a preservare l’individuo o un suo “caro” dal pericolo o dal rischio psicofisico avvertito. E’ a questo punto che il soggetto vive un’esperienza di grave sopraffazione emotiva, cognitiva, sensoriale e psico-fisica (ad es. viene colpito, aggredito, abusato, ferito… e non è in grado di fare nulla che interrompa tale esperienza); in questo momento la sua mente si attiva in suo aiuto operando una dissociazione nella personalità

 

Gli autori hanno evidenziato che, a seguito di esperienze traumatiche, si può sviluppare una parte definita “Apparentemente Normale della Personalità” (ANP) focalizzata per lo più sulle attività quotidiane, e una “Parte Emozionale” della personalità (EP) che è costituita da aspetti legati al sistema difensivo irrigidito e radicato nell’esperienza traumatica.

La ANP è la parte che è “normale” nella maggior parte degli aspetti tranne che nella consapevolezza di tutto o quasi (tutto) ciò che riguarda il trauma; le EPs sono quelle legate alle memorie ed esperienze connesse al trauma.

 

Tale teoria trae origine anche dal concetto che azioni mentali e comportamenti adattivi si sviluppano sulla base di sistemi psicobiologici già esistenti in tante specie animali (e quindi anche nella “nostra” sebbene ormai evoluta).

Alcuni sistemi d’azione riguardano le funzioni della vita quotidiana che mirano a; regolare l’energia, attaccamento e accudimento, il coinvolgimento sociale, l’esplorazione, il gioco, la riproduzione. Tutti implicano l’avvicinamento a stimoli attraenti (Lang 1995). La parte apparentemente normale della personalità (ANP) si basa su questi sistemi di azione.

Un altro dei principali sistemi di azione è focalizzato sulla sopravvivenza nei confronti di un pericolo imminente e include più sottosistemi di difesa come il richiamo di aiuto, l’attacco, la fuga, il congelamento (o freezing), la sottomissione o morte apparente.

Le parti emozionali della personalità (EP) sono collegate a questi sistemi di azione difensivi.

A seconda di quanto è frammentata la mente del paziente, Van Der Hart et al (2006) classificano la dissociazione strutturale come primaria, secondaria o terziaria.

Nel primo caso ci si troverà di fronte ad una sola EP che è tutta concentrata sul momento del trauma ed una ANP che porta avanti le azioni della vita quotidiana (è l’equivalente del PTSD semplice); nella dissociazione strutturale secondaria vi è una sola ANP e più EP che appartengono a differenti sistemi di difesa che si attivano in un ambiente traumatizzante (qui si trovano il DDNAS – disturbo dissociativo non altrimenti specificato, e il DBP – disturbo borderline di personalità). Nella dissociazione strutturale terziaria ci sono più EPs ma anche più di una ANP. La divisione delle ANP si verifica quando gli aspetti della vita quotidiana (i sistemi psicobiologici di cui sopra) vengono associati a eventi traumatizzanti attivando quindi ricordi di questo tipo. In questi casi la personalità del paziente si divide sempre più nel tentativo di continuare a “vivere la quotidianità” senza imbattersi nei ricordi traumatici (solo DDI).

 

Nel lavoro sui traumi si suddividono ormai universalmente tre fasi:

  • La stabilizzazione,
  • il lavoro sulle memorie traumatiche
  • l’integrazione nella vita normale.

 

Nella fase 1 è fondamentale la psicoeducazione a sostegno del lavoro di stabilizzazione. E’ importante spiegare ai genitori e ai bambini l’origine dei comportamenti e dei sintomi che derivano da esperienze traumatiche e che spesso sono vissuti come incomprensibili e “strani”. E’ utile far comprendere che sono le Eps ad attivarli.

 

Diventa qui importante familiarizzare con concetti quali la “Finestra di Tolleranza”. All’interno di questa, secondo Siegel (1999) “…possono essere elaborate diverse intensità di arousal emotivo e fisiologico senza che venga sconvolto il funzionamento del sistema…”.

Può essere identificata come l’intervallo emotivo, cognitivo, affettivo e psicofisico all’interno del quale siamo in grado di “tollerare” e affrontare ciò che sta avvenendo senza esserne sopraffatti e riuscendo ad attivare qualche strategia-risorsa che ci consenta di produrre soluzioni utili o di sopravvivere senza ricorrere a strategie dissociative.

Quando le esperienze sono troppo forti e sopraffacenti e/o si presentano in momenti in cui non ci sono sufficienti risorse per affrontarle, è molto probabile che si arrivi alla dissociazione strutturale e alla genesi di ANP ed EPs.

Queste ultime possono crearsi sia nella disregolazione in IPER-arousal che in IPO-arousal.

Nella fascia di IPER-arousal troviamo quattro possibili EP (tre condivise dagli autori di cui sopra ed una, il grido o richiamo di aiuto, individuata in particolare dalle teorizzazioni afferenti alla psicoterapia sensomotoria ): GRIDO DI AIUTO, FUGA, ATTACCO, FREEZING. Nella fascia dell’IPO-arousal, si trova la MORTE APPARENTE (o la resa).

 

 

IPER-AROUSAL

EPS:  RICHIAMO D’AIUTO     FUGA     ATTACCO    FREEZING

FINESTRA DI TOLLERANZA

AROUSAL OTTIMALE

IPO-AROUSAL

EP:  MORTE APPARENTE

 

 

 

Ciascuna di queste EPs può avere manifestazioni diverse nel genere umano (per esempio l’EP di FUGA può tradursi nell’attivazione di comportamenti dissociativi di dipendenza e fuga nelle sostanze, sesso compulsivo, alcool, gioco d’azzardo); le manifestazioni delle Eps sono per lo più i sintomi o i comportamenti disadattivi.

 

Come sopra accennato, la prima fase del lavoro sul trauma si condivide essere la STABILIZZAZIONE, cioè la attenuazione, riduzione o addirittura scomparsa dei sintomi attraverso un lavoro volto a ridimensionare la DIS-regolazione dell’arousal che attiva le EPs.

Ciò si ottiene per lo più attraverso il lavoro di rinforzo della tenuta cognitiva, emotiva e somatica che produce l’aumento dell’ ampiezza della finestra di tolleranza.

Tale scopo si raggiunge solitamente aumentando o installando maggiori risorse (a seconda della tecnica utilizzata possono essere risorse somatiche, cognitive, emotive, di padronanza, di competenza, spirituali…) o regolando l’arousal attraverso tecniche e strategie sensomotorie.

Solo a questo punto è possibile accedere al lavoro della fase II, quello sull’elaborazione delle memorie traumatiche. Solo a questo punto perché il paziente è in grado di non disregolarsi e quindi di utilizzare per l’elaborazione tutte le funzioni cerebrali interessate da questo processo tra cui la corteccia prefrontale (che nella dissociazione e attivazione di EPs si “scollega”).

 

Riassumendo, per avviare tutto questo processo, si parte quindi dalla psicoeducazione, poi bisogna riconoscere e individuare le EPs, e l’ampiezza della tenuta della finestra di tolleranza per lavorare sulla stabilizzazione.

Fatto questo (che spesso rappresenta la parte più complessa e difficile del lavoro) si può accedere all’elaborazione del trauma che ha generato le EPs .

 

E’ a questo punto che la dott.ssa Tomba si è interrogata su come tradurre tutto ciò a misura di bambino.

Quanto, cosa, e come farlo?

 

La risposta che ha trovato è stata: “Quanto è necessario per fargli capire cosa gli sta succedendo e aumentare così il suo vissuto di controllo e competenza su di Sé”.

Questo favorisce inoltre una maggiore motivazione ad affrontare il percorso terapeutico rinforzando così l’alleanza con lo specialista.

 

I bambini, come ha teorizzato Piaget, hanno un funzionamento cognitivo concreto fino ad 8-10 anni, quindi, per pazienti che appartengono a questa fascia d’età, dobbiamo adattare la nostra comunicazione per essere certi di farci capire.

A dire la verità, per inciso, ci sono molti pazienti che a causa di traumi complessi e la formazione di EPs altamente specializzate, non riescono ad attingere ad un funzionamento adulto e a processi cognitivi astratti; quindi, anche loro di fatto, necessitano di uno stile di interazione comunicativo più “semplice” e concreto piuttosto che astratto.

 

Il primo passo è spiegare il tutto ai genitori, rendendoli partecipi dei meccanismi di funzionamento post-traumatico e non nel bambino. Vanno aiutati a decodificare le EPs e gli eventi che fanno da trigger (riattivatori traumatici) per le stesse.

Bisogna quindi spiegare al bambino tutto quello che abbiamo appreso dai suoi genitori circa le sue difficoltà e cosa abbiamo capito o immaginato noi grandi sul perché tutto questo si sta verificando.

Anche al piccolo paziente bisogna spiegare cosa è la finestra di tolleranza, portare su questa esempi quotidiani e concreti che appartengono alla sua esperienza di vita magari prima e dopo l’evento traumatico.

Bisogna fargli sentire e toccare con mano le caratteristiche, le similitudini e le differenze tra i comportamenti che scaturiscono da un livello di attivazione posto all’interno della Finestra di tolleranza e all’esterno di essa.

A questo punto bisogna spiegargli “cosa sono” questi comportamenti, perché si manifestano così?, perché non riesce a controllarli? da dove arrivano?

 

E’ a questo punto che entrano in scena le PiTiPies. Ma cosa sono?

Sono costituite da quattro marionette grandi che rappresentano le ANP e che sono rispettivamente due adulti e due bambini di sesso maschile e femminile.

 

 

A vedersi sembrano “tutte lì”, non sembrano aver nulla di particolare, ma in realtà sotto la maglia, hanno una tasca

 

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che può contenere le EPs che si sono formate a causa dell’esperienza traumatica.

La dott.ssa Tomba ha infatti “Umanizzato” 5 Eps che riproducono le categorie di difese animali condivise e sopra riportate (Richiamo di aiuto, fuga, attacco, freezing, resa)

 

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La dottoressa ed alcune colleghe impostano oggi il loro lavoro come viene illustrato di seguito.

 

CASO CLINICO ESEMPLIFICATIVO

 

Immaginiamo che il nostro paziente si stato coinvolto in un grave incidente d’auto avvenuto nonostante il tentativo del genitore di segnalare col clacson la manovra impropria dell’altro automobilista. Il bambino ha visto l’altra auto arrivargli addosso e non ha potuto spostarsi o scappare anche perché era legato con la cintura sul seggiolino posteriore… Il padre ha riportato gravi fratture ed è stato ospedalizzato a lungo così come il piccolo paziente. Da quel momento il bambino ha incubi, enuresi notturna, attacchi di ansia se deve salire in auto e, se ci sale e sente il suono del clacson, in modo incontrollato cerca di scappare fuori dall’autovettura sebbene questa sia in movimento. Immaginiamo che quest’utlimo comportamento sia legato all’attivazione di una Ep di fuga che avviene a seguito della percezione del suono di un clacson (trigger) anche senza pericolo imminente.

 

Si sceglie la marionetta tra le quattro “ANP” che maggiormente si identifica con il paziente (bambino), si spiega che prima del trauma quel bambino stava bene e si fanno esempi di “buon funzionamento” soprattutto relativamente ad una o più aree maggiormente interessate dall’attivazione dissociativa dopo il trauma (ad esempio andare in macchina prima dell’incidente).

Si spiega che l’incidente ha prodotto degli effetti di cui il bambino non si rende conto e che, dentro di lui, senza che se ne sia accorto, si è formata una parte, l’Ep, che di solito “riposa” e sta “tranquilla” (quando il bambino funziona dentro la sua finestra di tolleranza). Quando però, per esempio, sente il clacson di un auto (trigger) rivive il trauma e si attiva. Salta fuori senza che il bambino se ne possa rendere conto e senza che riesca a controllarla e, quando esce, COMANDA LEI. Gli fa fare quelle cose strane che talvolta lui neanche ricorda come correre fuori dall’auto all’impazzata cerando di uscire anche se la vettura non è ferma…

 

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A questo punto è possibile mettere in contatto l’ANP con l’esistenza della Ep avendo grande cura e rispetto della fobia che l’ANP nutre nei confronti della Ep. Fobia ed angoscia intrinseca all’esistenza delle due parti, una esiste a patto di non avere molto o nulla a che fare con l’idea, l’emozione o i ricordi dell’altra… Ma questo è un tema che chi lavora sulla dissociazione strutturale maneggia solitamente bene.

In questo modo è possibile approfondire col bambino il funzionamento della sua Ep quando “esce”, cosa la fa agitare, quando e come si “calma”.. si può accedere all’individuazione del trigger e alla valutazione dell’ampiezza della sua finestra di tolleranza.

Si arriva così pian piano alla stabilizzazione attraverso le strategie sopra accennate.

“Calmare” l’Ep per far rientrare l’arousal all’interno della finestra di tolleranza non è così facile. La fobia della Ep si vede anche attraverso la riluttanza o il vero e proprio rifiuto che i bambini hanno a guardare o toccare o prendere in mano la marionetta che la rappresenta. Qui subentra ovviamente l’intervento specialistico della terapeuta che aiuta il paziente in queste operazioni magari iniziando lei per prima a mostrargli come… o valutando di caso in caso dal momento che, come si può immaginare, ogni situazione è a sé e richiede strategie spesso differenti.

Solo a questo punto (raggiunta una buona stabilizzazione) è possibile lavorare sulla memoria traumatica che ha attivato quella Ep (di fuga per esempio nel nostro caso).

Come? Con la strategia terapeutica più adatta per quel paziente che per la dott.ssa Tomba è l’EMDR , la terapia sensomotoria, o l’integrazione di entrambe.

Anche in questo caso le PiTiPies aiutano. ANP ed EP dialogano e la ANP individua il trauma che ha creato la EP. Durante la De-traumatizzazione, spesso la EP umanizzata è “presente” e il bambino descrive stati d’animo, ansie ed attivazioni che appartengono a questa parte che vive come molto distaccata da lui inizialmente ma che via via egli sente con maggiore empatia e vicinanza fino ad arrivare ad integrarla.
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Possiamo immaginare di dover spiegare a un bambino come si è formata quella parte di lui che è responsabile dei suoi comportamenti aggressivi verso gli altri, comportamenti che iniziano improvvisamente quando sente rumori forti e improvvisi.

Questo bimbo, Giulio, all’età di 5 anni, mentre era in un supermercato con la sua mamma, è stato spettatore di una rapina amano armata, i due aggressori hanno anche preso la sua mamma come ostaggio e lui, che voleva “salvarla” picchiandoli, è stato tenuto stretto da un signore presente che di fatto, per proteggerlo, gli ha impedito di attivare una difesa di sopravvivenza, l’attacco. I due ladri urlavano e hanno anche sparato dei colpi in aria per intimorire chi era presente.

Hanno infine lasciato la mamma di Giulio e sono scappati ma, da quel momento in poi, ogni volta che ci sono urla o rumori forti ed improvvisi Giulio diventa irascibile ed aggredisce fisicamente chiunque gli si avvicini anche se per aiutarlo. Nulla lo calma o lo frena, ad un certo punto rientra ed è confuso, sfinito. Talvolta non ricorda bene ciò che è accaduto ma si sente cattivo e colpevole..

 

 

Quello sin qui riportato è solo un accenno.

Molto di più, come si può immaginare, appartiene a questo mondo terapeutico e richiede continui adattamenti e rivisitazioni proprio per meglio adattare aspetti così complessi alla mente dei bambini.

 

Chi volesse approfondire quanto fino ad ora individuato dalla dott.ssa Tomba in materia può partecipare alle giornate di formazione dedicate da Alessia Tomba a questo tema.

Per avere informazioni in merito potete scrivere una mail a:

info@alessiatomba.it

 

Protetto: Documentazione approfondita

Scarica la documentazione approfondita sulle Pitipies.
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Bibliografia

VAN DER HART, O., NIJENHUIS, E.R.S., STEELE, K., (2006), Fantasmi nel Sé Trauma e trattamento della dissociazione strutturale, Tr. It. Raffaello Cortina, Milano 2011.
SIEGEL, D.J. (1999), La mente relazionale: neurobiologia dell’esperienza interpersonale. Tr. It. Raffaello Cortina, Milano 2011